III domenica T.O.

Vangelo secondo Giovanni (Mc 1,14-20)

Riprendendo la lettura del testo di Marco, la liturgia ci propone in questa terza domenica dell’anno B la pericope che segue immediatamente la trilogia iniziale (predicazione di Giovanni Battista, battesimo di Gesù e tentazioni nel deserto) e che apre la prima sezione di questo vangelo 1, 14- 3,7a). Il testo si compone di due parti: un sommario introduttivo a questa sezione (vv.14-15) e la chiamata dei primi quattro discepoli (vv. 16-20) che costituisce il parallelo del testo giovanneo che abbiamo meditato la domenica scorsa (Gv 1, 37-42). Si tratta del primo episodio o quadro di una tipica “giornata di Gesù” che Marco ci descrive nei vv. 16-39 del primo capitolo.

Appaiono alcune caratteristiche tipiche dell’evangelista tra le quali sottolineiamo la collocazione in Galilea e il Regno di Dio.

Il contesto della chiamata dei discepoli nel brano di Marco è molto diverso da quello che abbiamo meditato domenica scorsa in Giovanni e anche l’andamento dell’episodio richiama la nostra attenzione su aspetti differenti. La presenza del fatto in tutti i vangeli ne conferma la realtà storica; ogni evangelista tuttavia guarda la chiamata da un punto di vista specifico.

Qui il racconto è ben costruito e mette al centro Gesù (che prende l’iniziativa) che chiama i quattro in una situazione quotidiana (mentre lavorano). 

Il testo richiama lo schema di vocazione dell’A.T. (per esempio la chiamata di Eliseo 1Re 19) anche se vi sono delle differenze. La chiamata può essere collegata alla missione che Gesù darà ai dodici in 6,7, inviati in coppia; Simone la riceverà una seconda volta (8, 33) dopo un episodio critico; è comunque Simone il primo discepolo nominato da Marco che lo cita nuovamente al termine del vangelo (16, 7).

Mentre Giovanni rimaneva nel deserto e là accoglieva le folle, Gesù si mette in cammino per andare incontro agli uomini dove questi si trovano; prima ancora di chiedere la conversione (cambiamento di vita) degli uomini per il Vangelo, lui stesso si fa Vangelo e converte la sua vita facendosi prossimo agli uomini.

Per Dio è giunto il momento giusto (kairòs) per manifestarsi in Gesù agli uomini, avvicinarsi a loro, chiamarli ad una esistenza nuova. La buona notizia (vangelo) è proprio la vicinanza di Dio e del suo Regno, per questo agli uomini è chiesto di cogliere il compimento che in questo tempo si sta manifestando: “convertitevi e credete…”; la fede (credere) presuppone la decisione di cambiare direzione (conversione) per mettere quel vangelo al centro della propria vita. La condizione per credere è convertirsi; non una decisione presa una volta sola e che vale per sempre ma una sfida di tutti i giorni, perché ogni giorno si può cambiare qualcosa ed ogni giorno qualcosa può modificarci. Nella quotidianità del cambiamento si raggiunge il credere, si lascia che Dio irrompa nella nostra storia e ci modelli la vita come il vasaio la creta (Sir 3,13).

La tentazione aberrante è sentirsi arrivati, pensare la conversione come atto definitivo perché convinti di possedere la “verità”, che non è più buona notizia ma ideologia a cui piegare l’esistenza e il mondo. Così come ascolteremo nella prima lettura tratta dal libro del profeta Giona. Il profeta Giona solo al termine si rassegna ad annunciare la Parola di conversione e di salvezza. La parola di Dio lo costringe a combattere contro le sue stesse convinzioni politiche e religiose, integralistiche e settarie: anche i Niniviti, con i loro “cuori induriti”, sono chiamati alla conversione; Giona si sorprende, ma anche gli “empi” Niniviti credono, digiunano, si convertono dal loro stato di peccato. Dio “non vuole la morte del malvagio, ma che questi si converta e viva”.

La capacità di cambiare direzione, di convertirsi, implica l’attitudine a lasciare ciò che si possiede per consegnare la propria vita nelle mani di un Altro; questa caratteristica distingue il discepolo.La proposta di Gesù è radicale, Marco non racconta un dialogo, non ci sono domande né perché; la risposta è altrettanto radicale espressa non a parole ma nei fatti concreti, immediati, in quel subito che non lascia spazio a nulla se non al silenzio. La proposta di Gesù non ha offerte o contropartite, non offre sicurezze, se non una prospettiva paradossale, ermetica, incomprensibile: vi farò diventare pescatori di uomini.

Marco sembra abusare della parola subito (41 volte su un totale di 51 nel Nuovo Testamento), certamente esprime l’urgenza del Regno ma soprattutto la passione emotiva, il carico di attese, il senso di quel momento giunto al colmo del tempo. Al subito di Simone e Andrea nel rispondere, fa seguito il subito di Gesù nella chiamata di Giacomo e Giovanni. Simone e Andrea si affidano al Cristo che passa accanto alla loro vita lasciando in mare le reti gettate; Gesù chiama Giacomo e Giovanni perché ha bisogno degli uomini, chiede la loro compagnia, dunque essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni. Gesù chiama i discepoli mentre stanno lavorando, nel pieno della loro attività quotidiana, non in un momento particolare di contemplazione o di preghiera: nessuna azione umana è priva della presenza di Dio.

Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, lasciata ogni cosa, seguono Gesù, consentono che il “fare” preceda ogni considerazione e ogni comprensione. La chiamata di Gesù ha scosso il loro cuore già gonfio di aspettative, ha penetrato il profondo delle loro attese, ha scatenato il desiderio dell’impercettibile e dell’insondabile. Dalle relative sicurezze della vita il discepolo viene proiettato alla piena insicurezza (D. Bonhoeffer, Sequela).

Così Marco rappresenta la chiamata dei primi discepoli ma anche lo straordinario e l’assurdo che irrompe in ogni essere umano che nella ricerca di Dio si incontra con Cristo. Il Signore chiama! Chiama anche noi, ciascuno di noi. Ci chiama per la conversione, per l’accoglienza del Regno di Dio, per il rinnovamento della famiglia, della parrocchia, della Chiesa, della società.

Quando ci chiama, cosa facciamo? Qual è il nostro comportamento? Ci possono essere esitazioni, paure, incertezze… ma seguire la sua chiamata è la nostra vera realizzazione, la nostra gioia, la nostra salvezza.

A che cosa mi chiami Signore, Cosa vuoi da me? Che cosa hai pensato di bello e di grande per me? “Fammi conoscere Signore le tue vie!” (Salmo 24/25)

Termino questa riflessione con questa splendida preghiera di Santa Faustina: “O Gesù mio, nulla può indurmi ad abbassare il mio ideale,cioè l’amore che ho verso di Te. Benchè la strada sia così tremendamente irta di spine, non ho paura di andare avanti, anche se la grandine delle persecuzioni mi copre, anche se gli amici mi abbandonano, anche se la tempesta incomincia ad imperversare e sento che sono sola a dover far fronte a tutto. Allora in tutta tranquillità confiderò nella Tua Misericordia, o mio Dio, e la mia fiducia non rimarrà delusa.” (Diario, 1195)

Padre Christian Vegna OFM
Faustinum Milazzo