Testimonianza di un prigioniero – Ludovico

Ludovico ha subito molestie, è stato rapito e poi fatto prigioniero. La sua vita è stata un continuo trauma.

Grazie all’incontro con persone, vittime come lui della stessa sofferenza, che hanno teso le mani verso di lui in cerca di aiuto, ha saputo dare un senso alla propria vita e a diventare un uomo forte. Il suo proposito è stato quello di rendere “mille volte di più” donando sè stesso al servizio  degli altri.

Il cuore di Ludovico batte forte, ora si trova di fronte alla casa dove ha trascorso la sua infanzia,nel centro di Orange (Vaucluse in Francia),ha un sorriso un pó timido ,imbarazzato ,il tipico sorriso di chi nasconde una profonda ferita, ricordo di un’ infanzia dolorosa grazie alle violenze subite. Un sorriso che si può comprendere solo conoscendo la storia di Ludovico. Solo allora sarà facile immaginarselo, mentre molti anni dopo la sua liberazione, si incammina verso Avignon, luogo della sua seconda, lunga prigionia. Questa seconda ferita aveva reso più salda in lui la convinzione di essere un rifiuto della società, che era stato arrestato perchè meritevole di dover morire e ancora, di non essere degno di ricevere ne aiuto ne l’ amore di nessuno. Solo dopo la liberazione Ludovico ha dato una svolta alla sua vita :

all’età di 42 anni collaborava già con molte associazioni che soccorrevano i più poveri, era un soccorritore dell’ Ordine di Malta, volontario di Secours Populaire e Secours Catholique. Ludovico è sempre stato molto attivo,attualmente è impegnato in prima linea nella lotta contro la tossicodipendenza ,per il miglioramento dello status di molti tossicodipendenti.

Non per caso aiuta gli altri

“Il tempo dedicato al volontariato è il miglior modo per ricambiare ciò che di buono abbiamo ottenuto” – dice Ludovico.

Ora vive nella sua piccola casa, non lontano da un teatro antico in Orange, insieme a sua moglie Anne-Marie e il loro figlio, Pierre-Marie di 18 anni. Tutti e tre collaborano attivamente nella vita familiare, sono cattolici praticanti e nella loro casa sono presenti  delle statuine religiose, messe qua e la. Ludovico e Anne-Marie credono nei miracoli a partire dal loro personale miracolo a cui devono la possibilità di poter vivere ,tutti e tre insieme sotto lo stesso tetto. Questi sposi infatti hanno avuto un cammino travagliato: il loro figlio Pierre-Marie ha passato la sua infanzia in una famiglia affidataria. Anne-Marie essendo disabile ,è stata giudicata non idonea all’educazione del proprio figlio. Ludovico è stato successivamente arrestato, recluso in carcere per 18 mesi.

Sei solo un numero

Padre di famiglia, all’età di 28 anni è stato imprigionato e ricorda il cammino prima di varcare la porta del carcere di Avignon, una delle più vecchie prigioni in Francia. Lui lì perde la libertà ,da ogni punto di vista umano e insieme a questa,perde pure la sua dignità.

“Non ci chiamano col nostro nome, ma col numero che ognuno di noi ha ricevuto. Non ci si stringe la mano, non si sa più cosa sia un saluto. Dietro le sbarre si rimane soli, isolati, fino alla morte visto che alcuni tentano il suicidio ma d’altronde , come si può resistere da soli per 22 ore, in 9 metri quadrati?”

Nella sua memoria il ritorno alla vita avviene in Orange. Ludovico abita molto vicino alla casa dove ha passato l’infanzia, la sua prima prigione. Il centro penitenziario della città dei papi è stato in realtà la seconda cicatrice della sua vita. Un  trauma, sicuramente orribile, ma più leggero se paragonato alla “prigione familiare”. Quando si trova lì davanti al vecchio casale con i muri grigi, nella strada tranquilla, Ludovico lotta con se stesso, per nascondere il suo nervosismo. “Oggi non sento più quasi dolore ma all’inizio è stato difficile sopportarlo”.

Mia madre – la mia guardia carceraria

Ludovico spiega che, fino da quando la memoria lo sostiene, ricorda che da sempre è stato trattato male dai suoi genitori. La scuola rappresentava la sua “ora d’aria”, la sua unica libertà, ma i giorni in cui non andava a scuola,le feste ed i weekend , erano il suo incubo. Aveva 16 anni, quando ha iniziato la scuola, per diventare ortolano e poter porre fine a questo inferno domestico. Un giorno era ritornato a casa per poter far visita a suo padre e rientrato nella sua stanzetta, sua madre lo aveva chiuso dentro. “Non sapevo cosa stava accadendo”. Quello fu l ingresso nella  sua prima prigione. Per sei mesi sua madre fu la sua guardia carceraria. Apriva la porta solo per nutrirlo, lasciarlo andare in bagno, oppure per permettergli di fare la doccia. La sua stanza era fornita solo di una lampada e una scrivania. La luce veniva dall’esterno, secondo i desideri di sua  madre. Dalla finestra del dormitorio ci si poteva affacciare sulla strada. Dopo 6 mesi di prigionia, Ludovico, sfruttando un momento in cui sua madre si era dimenticata di legarlo, riuscì a sfondare la porta del suo bunker. Scappó e chiese aiuto ad un medico che lo fece accogliere in un centro per rifugiati. “Ogni giorno ringrazio i miei genitori per questa violenza “– dice oggi Ludovico. È difficile da dire, ma se non fosse successo non sarei mai diventato ció che sono oggi.”

Le cicatrici del prigioniero

Questa sollecitudine di dare aiuto, quel trasformare le esperienze traumatiche in qualcosa di positivo è diventato il “passaporto” di Ludovico nella vita. Colui che porta in se una traccia così  orribile lasciata da una  “vera” prigionia, sente il bisogno di accompagnare i prigionieri che sono stati appena liberati. “Non posso lasciare i miei fratelli finchè non ritrovano anch essi la pace” – spiega, parlando della sua missione nella Fraternità del Buon Ladrone, lui che è il responsabile dell’accompagnamento dei prigionieri, prima e dopo la loro liberazione. All’esterno, i prigionieri provano sempre la solitudine, sia fisica che psicologica. “Lo sguardo degli altri”, “il rifiuto sistematico” – lasciano sempre dei danni permanenti nella loro psiche. “Ci sono cose di cui non puoi parlare, perché possono ferire gli altri” – dice Ludovico. Solo le persone che hanno sperimentato la prigione, possono percepire e comprendere la paura espressa dai loro volti, l’umiliazione o l’isolamento che essi sperimentano una volta usciti di galera.”Condivido con loro la stessa terribile e dolorosa esperienza ”.

Dunque per lui aiutare gli altri attraverso una testimonianza è la migliore delle terapie,molti di coloro che lui considera i suoi “fratelli” non riescono a parlare,a confidarsi ,perché hanno paura.La prima paura è quella di esser sentito o visto da un poliziotto, ma anche paure più inconsce, la paura di trovare porte chiuse , o la paura di sentire il suono delle chiavi nella tasca. “ Solo chi ci è passato puó capire tutto questo, io ho sentito quel rumore per 18 mesi” – dice Anne-Marie di Ludovico,che aveva capito queste cose dopo  il suo ritorno a casa. Molto spesso lui le confidava della paura provata , rievocando la sua esperienza in prigione. Il trauma paralizza, devi essere accompagnato,supportato per poter guarire.Inoltre, accanto alla parola “paura”, spesso usa l’espressione: “essere sicuro di se stesso”. È la fiducia che ho ricevuto dagli altri, ed è la stessa che vorrebbe infondere  ai suoi “fratelli” prigionieri e a tutti coloro che pensano di aver perso tutto.

Non cadere un’altra volta

Caterina, una volontaria delle prigioni, è una delle persone che Ludovico chiama “il suo dono”. L’aveva incontrata 10 anni fa in una prigione ed era diventata la sua “madre adottiva”. Caterina spiega il motivo per cui Ludovico ha riacquistato  la sicurezza in se stesso: “Ho avuto la possibilità di ripetergli : sei misero, infelice, hai avuto un’ infanzia difficile, ecc. , ma io credo in te. Lo “spingevo” sempre, ad andare avanti. Per me, che sia stato prigioniero, o no, non aveva nessuna importanza. La cosa importante è riconoscere di avere un uomo davanti a me”. Lei racconta che Ludovico è diventato un uomo che si è messo a disposizione degli altri: “ grazie alla sua fede, grazie alle persone Incontrate, è entrato in un ambiente dove tutti lo stimano. Ha dovuto aiutare, per riuscire a testimoniare che era veramente un buono. È andato a Lourdes, aiutando i disabili. Tutti i suoi impegni hanno contribuito ad infondergli fiducia e stima in se stesso.”

Anne-Marie, con occhi di profonda tenerezza, riassume ció che serve per  conquistare la stima di se stessi: “ In realtà, ha creato sempre le sue piccole famiglie, qua e la.” Grazie a queste braccia tese verso di lui, Ludovico ha detto di aver imparato che cosa volesse dire “amare”. Adesso, può aiutare gli altri. Anne-Marie riassume: ha sconfitto tutto quanto per se è grazie a lui alcuni se la sono cavata. Non serve dire: “oh, non siamo capaci, non riusciremo a cavarcela. “

“Certo,le difficoltà non mancano, anche io ho il pensiero di ricadere”- dice Ludovico, mescolando con un cucchiaino la sua tazza di tè.Non ho la certezza che un domani io non possa ritornare in prigione ma faccio sempre lo sforzo di non cadere. Grazie al sostegno degli altri.  

Uno dei suoi genitori adottivi, Jean-Marie, dell’Ordine di Malta, ha insegnato a Ludovico che dobbiamo rendere sempre rendere il centuplo.

Nel loro salone Ludovico e Anne-Marie salutano il loro figlio,ormai divenuto grande, Pierre-Marie, ritornato dal lavoro. Sono venuti per farci delle domande e avere delle risposte, sorridendo, parliamo un po’ di tutto… Come sembrano lontane, in questo momento, le galere del passato ! Circondato dalla sua famiglia, al servizio degli altri, Ludovico a poco a poco sta ritrovando il suo posto, il suo equilibrio. Il Signore tocca il cuore dei piccoli, apre la porta del nostro cuore, ma ci lascia sempre liberi!

Tutto quello che sono diventato, tutto quello che oggi ho, tutto questo amore che posso donare agli altri,altri non è che l’amore che arriva da Dio.

 
Che Dio vi Benedica!

Ludovico