XXIII Domenica T.O. (Anno A)

Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 14-30)

La parabola dei talenti che la liturgia ci fa ascoltare in questa XXXIII Domenica del T.O. è incastonata, nel Vangelo di Matteo, nella lunga parte che viene chiamata “Discorso escatologico” e che costituisce non solo l’ultimo dei cinque discorsi in cui si può suddividere il libro, ma anche quello in cui si indica al lettore la strada di un cambiamento assolutamente decisivo (cfr. Mi 24-25). Il testo della nostra parabola è collocato tra la parabola delle dieci vergini (cfr. Mt 25, 1-12) e il discorso di Gesù sul giudizio finale (cfr. Mt 25, 31-46). Siamo, dunque, in un clima piuttosto serio e in un momento letterario risolutivo: quanto qui viene detto suona come l’ultima occasione per trovare salvezza o condanna, per ricevere accoglienza o rifiuto da parte di Gesù, quando, alla sua parusia, al momento cioè del suo ritorno finale, aprirà la porta delle nozze alle vergini sagge e la manterrà chiusa per quelle stolte (cfr. Mt 25, 10-12); e, come un pastore, giudice e re, separerà «le pecore dalle capre e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sua sinistra» (Mt 25, 32-33). La storia proposta dalla nostra  parabola non è difficile da seguire. Un uomo affida a tre servi  il suo capitale con la raccomandazione d’investirlo in modo redditizio. “Dopo molto tempo” (riferimento all’attesa del Signore e al suo ritardo nel compiersi), il padrone ritorna, e qui finisce il racconto. Ma la lezione della parabola viene affidata al dialogo che il padrone intrattiene, separatamente, con ciascuno dei servi. Due dei servi assolvono bene il loro compito e gli viene riconosciuto, ma il terzo no. Il terzo servo presenta una scusa, ma la scusa non è accettata. Si noti che non chiede perdono o fa alcun riferimento alla generosità del suo padrone. Invece, cerca di giustificare la sua incapacità di fare ciò che gli era stato detto, accusando il suo padrone di essere troppo esigente. Così il servo è giustamente privato di ciò che gli è stato dato, incluso il suo potenziale di fare di più ed è giustamente punito per la sua cattiva volontà e l’ozio. Si noti, inoltre, che non è solo il cattivo uso dei suoi doni che gli merita la punizione, ma anche il non-uso di essi, la sua incapacità di fare qualsiasi cosa. Matteo si sofferma sull’atteggiamento del terzo servo, l’unico dei tre che esplicita il suo pensiero davvero poco generoso sul padrone. Ne emerge un’immagine del padrone da parte del servo completamente distorta, fatta di durezza e di mancanza di misericordia. Un’immagine tanto mostruosa che egli se ne lascia impaurire per tutto il tempo dell’assenza del padrone, lasciandosi trascinare in un comportamento passivo e privo di iniziativa. Seppellisce in buca, rinunciando a vivere. “Il terzo servo confida di aver agito per paura: paura della durezza e severità del suo signore. E’ sempre la natura del rapporto col Signore che determina il comportamento quotidiano, l’assunzione di responsabilità oppure la fuga. In realtà, questo servo non ha mai accettato il dono che gli è stato fatto, non ha mai riconosciuto la gratuità del suo padrone: “Ecco, hai il tuo”. E’ stato paralizzato dal timore del giudizio”. (A. Mello) La differenza di atteggiamento rispetto ai primi due servi risalta allora nettissima. I primi due si mostrano attivi, pieni di iniziativa, capaci e volenterosi di rispondere alla fiducia concessa.  Rischiano in proprio, portando dentro di sé un’immagine generosa e fiduciosa del padrone, il quale li lascia del tutto liberi di muoversi. In tal modo crescono e raddoppiano quanto loro affidato. E’ la  piena realizzazione delle loro possibilità esistenziali e il padrone desidera condividere con loro la sua sovrabbondante e gioiosa soddisfazione per la sua fiducia ben riposta, al di là dei pur lusinghieri risultati sul campo. Ma cosa sono questi talenti e che significato hanno? I talenti di cui parla Gesù sono la parola di Dio, la fede, in una parola il regno da lui annunciato. In questo senso la parabola dei talenti si affianca a quella del seminatore. Alla diversa sorte del seme da lui gettato – in alcuni esso produce il sessanta per cento, in altri invece rimane sepolto sotto le spine, o mangiato dagli uccelli del cielo -, corrisponde qui il diverso guadagno realizzato con i talenti.Talenti sono per noi discepoli di Gesù di oggi la fede e i sacramenti che abbiamo ricevuti. La parabola ci costringe dunque a un esame di coscienza: che uso stiamo facendo di questi talenti? Somigliamo al servo che li fa fruttare o a quello che mette il talento sottoterra? Anche a noi il Signore affida i suoi talenti e altre il dono della fede e della Parola di Dio, come detto sopra, un’ altro è sicuramente la diffusione del culto della sua Misericordia come suoi apostoli. Non seppelliamo questo talento paralizzati magari dalla paura o dal timore di non essere all’altezza, ma facciamolo fruttificare. Così infatti diceva Gesù a santa suor Faustina: “Apostola della Mia Misericordia, annuncia al mondo intero questa Mia insondabile Misericordia. Non stancarti per le difficoltà che incontri nel diffondere la Mia Misericordia. Queste difficoltà che ti colpiscono così dolorosamente sono necessarie per la tua santificazione e per dimostrare che quest’opera è Mia. Figlia Mia, sii diligente nel prendere nota di ogni frase che ti dico sulla Mia Misericordia, perchè questo è per un gran numero di anime che ne approfitteranno” (Diario 1142). Concludiamo con le parole dell’orazione colletta di questa domenica: “Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e duratura”. Per Cristo Nostro Signore. Amen