Vangelo secondo Marco (Mc 13, 33-37)
Il tempo di Avvento è un tempo nel quale la liturgia ci fa vivere l’attesa per la venuta del Signore. Potremmo dire che è come il tempo in cui facciamo memoria che il Signore è venuto, viene e verrà! Egli è venuto una prima volta nel nascondimento e nella debolezza della carne duemila anni fa nell’umile povertà di Betlemme; verrà nella gloria alla fine dei tempi per consegnare il Regno al Padre. Tra queste due venute ogni uomo fa l’esperienza di un continuo visitarci di Dio nella nostra vita di tutti i giorni.
Fin dal suo sorgere fu considerato come «tempo liturgico» importante o “forte”, un tempo “privilegiato” secondo il calendario liturgico. Esso quindi per la sua originalità non ha paragoni con altri tempi forti, principalmente con la Quaresima. Infatti, al contrario di come si ritiene, non si presenta con l’aspetto della Quaresima, che è solo tempo penitenziale, purificatorio, catecumenale.
L’Avvento vuole essere piuttosto il richiamo a vigilare e a prepararsi pregando e operando perché «il Signore viene». “Come” viene, si svela Domenica per Domenica.
La pericope evangelica di questa I Domenica di Avvento B, fa parte dell’unico “discorso” del Signore conservato da Marco, quello che si usa chiamare “escatologico”: Mc 13, 1-37. Esso viene quasi come conclusione del ministero pubblico finale del Signore a Gerusalemme (cap. 11-12), ed è posto immediatamente prima della narrazione della Passione del Signore (cap. 14-15). A volte Marco 13 è chiamata la «Piccola Apocalisse (in contrapposizione alla «Grande Apocalisse» di Giovanni) o l’«Apocalisse sinottica» (perché della stessa esistono altre due versioni in Matteo 24-25 e in Luca 21).
Poiché il loro contenuto spesso riguarda le «ultime cose» (morte, risurrezione, giudizio, premio e punizione, vita nell’aldilà), delle apocalissi si dice che trattano dell’«escatologia» (lo studio delle «ultime cose»).
Interessante subito notare nel primo versetto quel “state attenti” di Gesù, che sarebbe più esatto tradurre con “guardate” anzi “osservate”. La realtà c’è ma noi spesso non la vediamo. Il rischio è quello di vivere in modo distratto deformando la realtà con gli occhiali delle nostre paure, dei pregiudizi e delle idealizzazioni.
Possiamo correre il rischio, per diversi motivi, di non saper più entrare in contatto con la realtà, con il nostro oggi, con le persone intorno a noi e ci possiamo addormentare. Ci si può addormentare per la stanchezza, perché siamo troppo tristi, ci si addormenta quando quello che abbiamo desiderato non arriva e ci lasciamo stordire dalle nostre fantasie e dalle illusioni nostalgiche. Nel racconto parabolico che segue Gesù ci parla di un uomo che lascia un potere, un compito ai servi e al portiere. Il Signore ci fa fare un passo ulteriore nel nostro vegliare: non solo avere consapevolezza della nostra realtà ma saper vedere dentro di essa quale compito ci affida. Quale compito mi sta consegnando il Signore oggi in questa realtà, in questa giornata? Cosa mi sta indicando dentro questa situazione. Bisogna rendersi conto delle tracce di Dio che attraversano il nostro oggi. Il portiere fa la guardia cioè ha il compito di vegliare e di selezionare: il portiere decide chi far entrare e chi no! E’ un invito a rimodulare la nostra vita facendo discernimento su quello che ci serve da quello che non ci serve. Chiediamoci alla luce di questa Parola se ciò che abbiamo fatto entrare nel nostro cuore ci aiuta veramente a vivere quello che abbiamo scelto e le persone che ci sono state affidate.
La parabola ci parla infine di quattro momenti della notte che secondo alcune suggestive interpretazioni possono essere identificati con i quattro momenti della passione di Gesù. La sera è il momento dell’ultima cena. Mezzanotte è l’episodio del Getsemani. Il canto del gallo è il momento del rinnegamento di Pietro. La mattina e il momento della croce e della sofferenza.
“Chissà quando il Signore verrà… Potrebbe venire nella sera quando uno dei Dodici, Giuda, lo consegna (cf. Mc 14, 17.43) e Pietro, Giacomo e Giovanni dormono, invece di vegliare con lui (cf. Mc 14, 32-42); o forse a mezzanotte, quando regna l’oscurità e dominano le tenebre; o forse al canto del gallo, quando il portinaio, Pietro, lo rinnega (cf. Mc 14, 72); o forse al mattino, quando ormai la notte è diventata lunga, insopportabile. In ogni caso, arriverà certamente all’improvviso, per questo occorre non essere addormentati ma restare vigilanti, memori del semplice ma decisivo monito di un padre del deserto, abba Poemen: “Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante”. (Enzo Bianchi)
Cosa resta da fare dunque per il cristiano? Vegliare!!! Questo è il consiglio operativo e imperativo per il credente perché proprio questo atteggiamento lo distingue dal mondo che non attende il ritorno del Signore. Vegliare significa stare svegli con il cuore leggero, conservando una agilità dello Spirito che è condizione fondamentale per riconoscerlo al suo apparire. Nulla deve distrarre il credente che nella sua interezza e unità veglierà col cuore, ma anche col corpo, restando sveglio, privandosi del sonno perché ogni sua fibra sia impregnata nell’attesa, la quale non può mai essere ridotta ad atteggiamento mentale. È così: chi non sa vegliare non sa neanche pregare e cade facilmente preda della accidia e della pigrizia, perdendo la padronanza di sé stesso e la capacità di essere proteso alla venuta del Signore. “Vieni Signore Gesù!” sarà il grido del credente fino alla fine del mondo. In questo cammino di vigilanza e di attesa amorosa del Signore, all’inizio di questo tempo di Avvento lasciamoci guidare dall’esempio di santa Faustina e dalle sue parole:
“PRIMO VENERDI’ DOPO IL CORPUS DOMINI. Già il venerdì dopo il Corpus Domini mi sentii così male, che pensavo che si stesse avvicinando il momento tanto desiderato. Sopravvenne una febbre alta e la notte sputai sangue in abbondanza. La mattina tuttavia andai a ricevere Gesù, ma non mi fu possibile rimanere alla santa Messa. Nel pomeriggio ci fu un improvviso abbassamento della temperatura a 35, 8. Ero così debole che avevo la sensazione che tutto in me stesse morendo. Tuttavia quando mi immersi in una preghiera più profonda, venni a sapere che non era ancora il momento della liberazione, ma solo una chiamata più vicina dello Sposo. Quando m’incontrai col Signore Gli dissi: «Tu mi prendi in giro, Gesù. Mi fai vedere la porta del cielo aperta e poi mi lasci di nuovo sulla terra». Ed il Signore mi disse: «Quando in cielo vedrai le giornate che stai passando attualmente, ti rallegrerai e vorresti vederne il più possibile. Non Mi meraviglio, figlia Mia, che tu non possa comprendere questo ora, poiché il tuo cuore è colmo di sofferenza e di nostalgia di Me. Mi piace la tua vigilanza. Ti basti la Mia parola, che ormai non andrà a lungo». E la mia anima si ritrovò nuovamente in esilio. Mi unii amorevolmente alla volontà di Dio, sottomettendomi ai suoi amorevoli decreti” (Diario 1786-1787).
Concludiamo facendo nostre le parole della Colletta:
O Dio, nostro Padre,
suscita in noi la volontà di andare incontro
con le buone opere al tuo Cristo che viene,
perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria
a possedere il regno dei cieli.
Per Cristo Nostro Signore. Amen.
padre Christian Vegna OFM,
Faustinum Milazzo (ME)